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Riconoscimento di persona ed errore giudiziario

Riconoscimento di persona ed errore giudiziario

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I dati più sicuri sul tema si ricavano dall'analisi retrospettiva dei condannati in via definitiva successivamente esonerati in un processo di revisione mediante la prova del DNA. In sostanza i ricercatori si sono chiesti quali fossero state le prove che avevano giocato un ruolo decisivo nella condanna. Questi dati indicano come circa il 72% di questi era stato condannato sulla base di un riconoscimento di persona che, sappiamo posteriori, ha dato origine ad errore giudiziario certo (perché il condannato è stato assolto in revisione con la prova del DNA).

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Si stima che negli Stati Uniti d’America il riconoscimento oculare da parte di un teste giochi un ruolo fondamentale in circa 80.000 casi ogni anno (Wells et al., 1998). Studi specifici hanno stimato che il 30%-40% dei riconoscimenti fossero identificazioni sbagliate, e quindi di soggetti innocenti (il 41% secondo uno studio condotto da Wells, Steblay & Dysart, 2011; il 33.73% secondo Wright & McDaid, 1996).

Gli errori nelle identificazioni rimangono, dunque, una delle principali cause di condanna di innocenti, tanto che Wells e colleghi (1998) lo hanno definito “tra le meno accurate forme di evidenza”.

Abbiamo già visto che l’uso del livello di fiducia del testimone nella sua risposta sia un indicatore attendibile del suo livello di accuratezza nel caso del ricordo autobiografico.  Purtroppo la stessa cosa non succede con l’identificazione. I risultati indicano chiaramente come non vi sia un legame tra accuratezza nel riconoscimento e il livello di fiducia del testimone nel riconoscimento da lui stesso effettuato. Wells & Olson (2003), per esempio, hanno concluso che la certezza con cui un teste risponde ad un compito di riconoscimento oculare è del tutto priva di rilevanza per la correttezza della risposta. Ma non è tutto. Questi autori hanno anche dimostrato che con il passare del tempo il livello di fiducia dei testimoni aumenta, mentre diminuisce la percentuale di identificazioni corrette; vi è quindi una correlazione negativa (tanto più alta quanto più tempo è passato) tra certezza del teste e accuratezza della risposta.

Wells, in un articolo pubblicato nel 1993 su American Psychologist, dimostra come su  100 persone, che avevano assistito alla ripresa di un furto, identificavano nel 21% dei casi il ladro anche quando quest’ultimo era in realtà assente tra i soggetti sottoposti a riconoscimento. In assenza del colpevole, quindi, il testimone si comporta come se questo sia presente e si forma un giudizio su colui che più assomiglia a quello che si ricorda essere il colpevole, che sarà quindi identificato. Quando il sospettato è assente, quindi, viene indicato come colpevole un innocente in percentuale molto elevata. Questo dato di fatto empirico richiama doverosamente l’attenzione al vaglio dei motivi per cui il sospettato diventa, in prima battuta, sospettato e di conseguenza inserito nel confronto all’americana a fianco dei “birilli”.

Vi sono  evidenze che mostrano come la disinformazione proveniente da un altro testimone dello stesso reato possa andare ad influenzare la capacità del testimone nel descrivere la faccia che ha effettivamente visto. I risultati di uno studio, condotto da Loftus e Greene (1980), hanno messo in evidenza come i soggetti portassero descrizioni errate di dettagli fisici del colpevole che avevano, in realtà non direttamente visto ma sentito da altri soggetti. Facevano cioè proprie delle affermazioni sbagliate altrui. In uno studio condotto da Gabbert et al. (2003), i partecipanti vedevano alcuni filmati di crimini che differivano per alcune caratteristiche-chiave. Veniva quindi richiesto loro di discutere con un co-testimone e, successivamente, rievocare il contenuto del filmato. I risultati mostrano che il 71% dei soggetti include nella propria rievocazione dettagli erronei forniti dal co-testimone.

Una domanda che sorge spontanea, a questo punto, è quanto forte sia la fiducia che il teste ripone in questa “falsa memoria”.  Una delle più ampie meta-analisi condotte in questo campo è quella di Meissner e Brigham (2001), i quali hanno analizzato i dati di circa 5.000 soggetti che hanno partecipato a 39 studi diversi. Dai risultati di questa meta-analisi, gli autori riportano che la probabilità di una identificazione sbagliata è 1.56 volte maggiore quando si tratta di riconoscere soggetti appartenenti ad etnie diverse rispetto alla condizione in cui si deve riconoscere un membro della propria etnia . Questo vorrebbe dire che un sospettato nero innocente ha una probabilità maggiore del 56% di essere erroneamente riconosciuto da un teste bianco piuttosto che da un testimone di colore. In questa stessa meta-analisi, gli autori hanno anche osservato come i tempi di risposta siano correlati ad una inaccurata testimonianza: tempi di risposta più lunghi correlano positivamente con una scorretta identificazione, ed in particolare con i falsi allarmi  (cioè riconoscere un soggetto colpevole quando questi in realtà è innocente).

Il contenuto delle descrizioni del teste circa il colpevole riguarda sia caratteristiche permanenti (come il genere, l’etnia, il colore degli occhi..) che caratteristiche temporanee (ad esempio l’abbigliamento). Le prime sono citate spontaneamente con maggior frequenza rispetto a quelle temporanee; la caratteristica più spesso descritta è quella relativa ai capelli, nonostante questa sia anche quella meno utile all’attività investigativa data la facilità con cui i capelli possono essere cambiati. I testimoni forniscono anche spesso una stima di peso e altezza, ma bisogna tenere in considerazione che vi sono due fattori determinanti: innanzitutto, il testimone usa se stesso come termine di paragone, quindi la stima sarà influenzata da come egli si vede (alto/basso, grasso/magro) . Inoltre, è influenzata dalle conoscenze e credenze del teste sulla norma della popolazione, tendendo a dare un valore che si avvicina a quello che egli ritiene medio. Vi sono, poi, delle differenze di genere: le donne prestano maggiore attenzione ad alcuni dettagli (ad esempio, il colore e la lunghezza dei capelli, i gioielli), mentre i maschi mostrano maggiore sicurezza nelle risposte. Per quanto riguarda, invece, le differenze individuali, si è visto che non vi sono particolari differenze in accuratezza tra bambini e adulti, anche se gli adulti descrivono un maggior numero di dettagli, soprattutto riguardanti il volto. I giovani, al contrario, tendono a fornire più dettagli accessori, meno utili alle indagini. Bambini e adolescenti mostrano performance migliori quando l’offender appartiene alla stessa classe di età.

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Riconoscimento di persona ed errore giudiziario

giuseppe.sartori@unipd.it

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