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“Perché l’ho fatto?”: le insidie della memoria nei processi penali

“Perché l’ho fatto?”: le insidie della memoria nei processi penali

Kaasa, S. O., Morris, E. K., & Loftus, E. F. (2011). Remembering why: Can people consistently recall reasons for their behaviour? Applied Cognitive Psychology, 25(1), 35–42.

Conclusioni principali

  • Lo studio dimostra che la memoria delle ragioni soggettive che hanno motivato un comportamento (ad es. l’acquisto di un CD) è spesso incoerente nel tempo: solo una minoranza mantiene costanza nel ricordo, mentre la maggior parte mostra fenomeni di “dimenticanza” (ragioni menzionate prima che poi scompaiono) o “distorsione mnestica” (ragioni nuove che emergono successivamente).​

  • Le variazioni nelle risposte non sono semplicemente casuali, ma possono essere predette da fattori quali il numero di ragioni inizialmente riportate e il livello di gradimento del CD stesso. Questo implica che fattori personali e contestuali influenzano pesantemente la ricostruzione mnestica delle motivazioni.​

  • La memoria delle motivazioni personali è quindi soggetta agli stessi limiti e alle stesse fabbricazioni che caratterizzano la memoria di eventi, mettendo seriamente in discussione il valore probatorio dei ricordi sulle ragioni del comportamento, soprattutto quando raccolti a distanza di tempo.

  • Caratteristiche della ricerca

    • La ricerca ha coinvolto oltre 1000 studenti universitari ai quali è stato chiesto di riportare le ragioni per cui avevano acquistato un CD, ripetendo il test dopo 6 mesi o 1 anno, con un ulteriore follow-up per un sottogruppo.​

    • Le risposte sono state analizzate per coerenza nel tempo, distinguendo tra risposte coerenti, dimenticanze (ragioni perse) e distorsioni (ragioni nuove mai citate prima).​

    • Si è riscontrato che solo circa il 20% dei partecipanti manteneva perfetta coerenza, mentre la maggior parte alternava dimenticanze e distorsioni, con maggiore stabilità nelle risposte a partire dal secondo recall.

  • Rilevanza per l’avvocato penalista

    • L’articolo mette in evidenza che la non coerenza delle risposte rispetto alle motivazioni soggettive non può di per sé essere utilizzata come indice sicuro di menzogna o inattendibilità della testimonianza.​

    • Gli avvocati devono essere consapevoli che la memoria sulle motivazioni può essere fortemente influenzata da interpretazioni successive, emozioni, suggestioni esterne e dal semplice trascorrere del tempo.​

    • È fondamentale distinguere tra coerenza narrativa e accuratezza reale, evitando di assumere che il testimone che cambia versione lo faccia necessariamente per dolo o malafede

    • Implicazioni pratiche per la difesa

      • La difesa può utilizzare questi risultati per contestare la pretesa affidabilità e oggettività della memoria dell’imputato o del testimone sulle motivazioni di un’azione passata, soprattutto quando le dichiarazioni cambiano tra diverse verbalizzazioni in fasi diverse del procedimento.​

      • È consigliabile richiedere e analizzare sempre con attenzione il primo verbale di dichiarazione, ed evidenziare come successive “aggiunte” o “omissioni” possano riflettere la normale dinamica della memoria, e non necessariamente un intento manipolatorio.​

      • Può essere rilevante presentare in giudizio evidenze empiriche come quelle di questo studio per spiegare al giudice che l’inaffidabilità della memoria sulle ragioni di fondo è un fenomeno sistematico e ben documentato dalla letteratura psicologica.

“Perché l’ho fatto?”: le insidie della memoria nei processi penali

giuseppe.sartori@unipd.it

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