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Il Prete di Bolzano

Il Prete di Bolzano

I fatti contestati dalla parte offesa sono avvenuti nella zona di Bolzano nel periodo compreso fra il settembre 1989 e la primavera del 1994. La vittima è una giovane donna che all’epoca degli eventi aveva 9 anni. L’imputato è un giovane prete di Bolzano che all’epoca dei fatti aveva 25 anni.

La ragazza sostenuta dai genitori preoccupati per la sua condizione psicologica, decide di rivolgersi ad una psicologa di uno sportello scolastico della sua città. La professionista, constatato il reale e grave disagio psicologico le suggerisce il nome di una psicoterapeuta che meglio avrebbe potuto accogliere le sue necessità terapeutiche. A seguito di questo intervento psicoterapeutico, in cui è stata utilizzata una tecnica psicodinamica detta “distensione immaginativa - reve evellie”, la paziente ha affermato di aver recuperato i ricordi traumatici degli abusi subiti in tenera età, compreso il ricordo dell’autore di essi. Due anni dopo, durante la terapia e la riemersione di questi ricordi, la donna, sempre sostenuta e spinta dai genitori, decide così di sporgere denuncia a carico di colui che secondo i suoi ricordi era stato l’autore di questi crimini, appunto il prete.

Successivamente a questa denuncia sono riemersi ulteriori eventi traumatici, fra cui il coinvolgimento da parte del giovane prete di un compagno di scuola della giovane, e perciò decide di sporgere una seconda denuncia il 30 giugno 2003. Infine, successivamente alla riemersione del ricordo degli stupri subiti anche da parte del compagno nei bagni della scuola e del ricordo del primo stupro subito da parte dell’imputato alla fine del 1989 decide di sporgere una terza ed ultima denuncia il 29 dicembre 2003.

Iniziano così le indagini preliminari nel luglio del 2003, a seguito della seconda querela, a carico del giovane prete. Nello stesso mese avviene l’arresto dell’indagato e nel marzo 2004 si concludono le indagini preliminari. Da questo momento in poi segue il processo penale a carico dell’imputato, in cui sia la vittima che i genitori si sono costituiti parti civili.

La testimonianza resa della vittima è la principale prova da cui si è mosso tutto il procedimento penale. In particolare, secondo i giudici che si sono susseguiti, il punto centrale dell’accusa è stata la descrizione precisa e ricca di particolari da parte della vittima, ella infatti ha ricordato date ed eventi precisi, frasi, colori, odori, vestiti che lei indossava nei singoli episodi legati agli abusi sessuali.

Successivamente alle indagini preliminari parte il procedimento penale contro l’uomo identificato dalla vittima, imputato del delitto di cui agli art. 81 c.p., art. 609 bis, ter, quater c.p. (pag. 1, Sentenza del Tribunale di Bolzano 20.02.2006). I presenti articoli del codice penale regolano rispettivamente l’esecuzione di un medesimo disegno criminoso da parte dell’imputato, nello specifico l’abuso fisico, psicologico e sessuale nei confronti della vittima, con le aggravanti di averle commesse su minore di anni 14 e in veste di ministro di culto, per cui la vittima era a lui affidata dai genitori per ragioni di educazione religiosa (pag. 1, Sentenza del Tribunale di Bolzano 20.02.2006).

In primo grado di giudizio il Tribunale di Bolzano, con sentenza in data 20.02.2006, assolve l’imputato perché il fatto non sussiste. La pubblica accusa e gli avvocati della parte offesa ricorrono in appello. In secondo grado la Corte d’Appello di Trento, con sentenza in data 16.04.2008, condanna l’imputato a scontare una pena di 7 anni e 6 mesi, perché ritenuto colpevole, con le aggravanti di aver abusato della sua autorità di ministro di culto sulla minore e approfittato della fiducia riposta nei suoi confronti dai genitori della bambina, e a risarcire il danno alla vittima e ai genitori, costituiti parti civili (pag. 183, Sentenza della Corte d’Appello di Trento 16.04.2008).

Successivamente, gli avvocati della difesa (Valenti e Gulotta) impugnano la sentenza e fanno ricorso alla Corte Suprema di Cassazione che, con sentenza in data 19.03.2009, annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché il reato residuo era ormai estinto per prescrizione e conferma le statuizioni civili disposte dalla sentenza di secondo grado (pag. 25, Sentenza della Corte Suprema di Cassazione 19.03.2009).

Come in una vera a propria “memory war” si crea fin da subito, in questo processo, una disputa tecnica fra chi sostiene che i ricordi traumatici relativi agli abusi sessuali, emersi tramite la psicoterapia, siano accurati e quindi attendibilii e la posizione di chi ritiene invece che non ci sia prova scientifica di questa pretesa accuratezza. Fondamentale per questo tipo di argomentazione tecnica è che si sta parlando di ricordi a lungo non recuperati che ad un certo momento riemergono alla memoria con la psicoterapia di tipo immaginativo.

Fra i primi rientrano: i giudici che si sono susseguiti nei vari gradi di giudizio nel corso degli anni, il pubblico ministero e gli avvocati della parte civile, sostenuti dall’ipotesi dei consulenti tecnici di queste parti che affermavano appunto fosse possibile recuperare memorie traumatiche fino a prima rimosse. Infatti, la testimonianza resa della vittima è stata la principale prova da cui si è mosso tutto il procedimento penale, in particolare, secondo i giudici che si sono susseguiti, l’osservazione più volte riportata a sostegno della accuratezza di questi ricordi è stata la descrizione precisa e ricca di particolari effettuata dalla vittima (pag. 9, Sentenza del Tribunale di Bolzano 20.02.2006): ella infatti ha ricordato date ed eventi precisi, frasi, colori, odori, vestiti che lei indossava nei singoli episodi legati agli abusi sessuali, aspetti valutati come un indice di sicurezza e di accuratezza dei ricordi emersi.

Invece, tra i sostenitori della posizione che attribuisce bassa credibilità a questa tipologia di ricordi si trovano: gli avvocati della difesa dell’imputato e i consulenti tecnici di queste parti, i quali affermavano l’improbabilità di questo fenomeno e l’impossibilità di ricordare, dopo così tanto tempo dettagli così precisi, definendo perciò questi ricordi delle vere e proprie false memorie. Col termine “false” non entrarono nel merito dell’attendibilità o meno di questi ricordi, in quanto non compete allo psicologo forense farlo, ma sostennero il concetto scientifico dei falsi ricordi relativo alle distorsioni che la memoria può produrre (si veda il primo capitolo in merito a questo tema). A distanza di tempo così lunga è impossibile avere ricordi estremamente dettagliati come quelli riferiti dalla parte offesa.

Il Prete di Bolzano

giuseppe.sartori@unipd.it

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